martedì 29 ottobre 2013

Anziani, la casa salva la vita. Ne "La forza degli anni" l'esperienza di domiciliarità di Sant'Egidio

di Marco Testi

"Non è giusto morire prima di morire, ma è giusto e sacrosanto togliere alla morte quel più di male che è l'umiliazione della persona".
Il libro da cui è tratta la testimonianza di Giulia, un'anziana che vive in un istituto perché non più autosufficiente, "La forza degli anni" (I libri di Sant'Egidio, Francesco Mondadori, 317 pagine) fa molto pensare, e, a tratti, fa anche male. Le varie voci che da esso ci parlano mostrano quello che sapevamo già, ma che noi rimuoviamo ogni giorno: il nostro futuro, quello di tutti gli uomini. Un destino che non diventa più completamente nostro, che ci viene sottratto lentamente quando non rappresentiamo più un'utilità sociale. Senza tanti svolazzi retorici, quella parte della comunità di Sant'Egidio che s'interessa delle problematiche legate al mondo degli anziani ci sbatte in faccia una regola, una realtà e una tradizione iniqua quanto puntuale: l'allontanamento dell'anziano dalla sua casa è la sua morte civile prima ancora che biologica. L'anziano perde il nome ("Ti ricordi il mio nome!" esclamano stupiti ai volontari che li vanno a trovare), perde le proprie cose personali, i propri vestiti, talvolta i soldi, la memoria, tutto. In un istituto "specializzato", "a tutti venivano tagliati i capelli allo stesso modo. Nessuno possedeva più niente, perché i vestiti venivano a loro sottratti all'ingresso. A tutti venivano dati farmaci sedativi che inibivano la coscienza e la volontà. Si restava sporchi per giorni interi, non c'era aiuto per mangiare e per bere". 

Non è però una denuncia disperata. Questo libro presenta l'altra faccia della medaglia, quella della rinascita e della possibilità di realizzazione nel qui e nell'ora della Parola, anche perché mica solo il male può diffondersi, ma, come scrive Paola Cottatellucci, "anche il bene è contagioso". 
C'è dunque un rimedio, ed è quello della cultura della domiciliarietà: vale a dire far restare gli anziani nella loro casa, con l'aiuto dei loro nuovi amici, o fa vorendo il loro inserimento in gruppi più vasti, perché siano di sostegno uno all'altro, o inserendoli direttamente in ambienti attrezzati a tutti i livelli. 
Per coloro che sono costretti a rimanere per vaie ragioni negli istituti, il contatto umano resta l'unica ancora di salvezza, perché "per chi si trova in un istituto le probabilità di morire sono quattro volte quelle di chi vive a casa sua". La spersonalizzazione e la mancanza di umanità significano infatti morte certa, come è accaduto a Filomena, uno dei dolenti esempi ricordati dalla Comunità di Sant'Egidio: "appena giunta in istituto, le tagliarono i capelli e la sedarono per tenerla buona. Morì dopo pochi giorni". La domiciliarità salva la vita: il libro riporta casi disperati di allettamento e di profondissime piaghe da decubito, aggravate dalla volontà di non mangiare più. Dopo il trasporto in un ambiente protetto e umano, queste persone hanno ricominciato a mangiare, a parlare, a vivere, e a lungo. 
Consiglieremmo questo libro soprattutto a coloro che pensano che il volontariato sia dannoso perché offre alibi all'incapacità dello Stato di gestire questi problemi. "La forza degli anni" dimostra che il solo servizio pubblico non basta. Nutrire bene e pulire sono una piccola parte di un universo che si chiama dialogo, affetto, gentilezza. Il volontariato non serve solo a migliorare tecnicamente i servizi, ma a portare ciò che non è possibile acquistare con nessun assegno in bianco, l'amore gratuito verso chi ieri era un produttore di ricchezza e oggi non serve apparentemente più a nulla. Quel volontariato è un atto eversivo incruento, che rovescia i valori attuali e proclama il valore dell'ultimo, del diseredato e dell'inutile.

 da Agensir, Servizio Informazione Religiosa

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